Dopo una vita passata alla Juventus, Claudio Marchisio ha deciso di intraprendere una nuova avventura, in Russia, con la maglia dello Zenit San Pietroburgo: primo posto in campionato con un punto di vantaggio sul Krasnodar e qualificazione ai sedicesimi di Europa League raggiunta.
In campo non è un titolare inamovibile, tutt'altro: la sua grande esperienza fa comunque storia in un gruppo senza tanti leader, bisognoso di qualcuno che li trascini verso la gloria, sconosciuta nelle ultime stagioni.
Intervistato da 'La Stampa', il 'Principino' ha ovviamente iniziato dalla Juventus dominatrice incontrastata del campionato, rimastagli nel cuore a prescindere da un addio burrascoso ed improvviso.
"Il Napoli è cresciuto, la Roma ha dato prova di carattere nonostante l'andamento alterno, l'Inter cerca continuità. Le rivali crescono, solo che la Juve è avanti di tanti anni. Lo stadio di proprietà, il marchio che parla al mondo... quella J è come l'incastro delle lettere sul cappellino dei New York Yankees. Per quel livello ci vuole tempo e soprattutto servono idee".
A Torino è arrivato Cristiano Ronaldo, proprio nell'estate che ha sancito il suo saluto dopo innumerevoli stagioni passate a difendere i colori bianconeri.
"I miei figli mi hanno sgridato 'papà, arriva lui e tu te ne vai?'. Tutti trattano Ronaldo come una star di Hollywood e ha pressioni assurde che in campo non si vedono quasi mai. È arrivato qui rincorso dai problemi: il fisco spagnolo, le accuse di stupro, non sono situazioni semplici da gestire. Ci vuole testa. Non è solo fortissimo, riesce a dare ulteriore qualità a chi ha vinto sempre. È trainante".
Ancor più quest'anno, l'obiettivo della Juventus resta quella Champions League sfiorata nel 2015 e 2017 contro Barcellona e Real Madrid. E se dovesse arrivare il trionfo, un briciolo di amarezza pervaderebbe Marchisio.
"Forse per un secondo mi dispiacerà, ma io sono juventino. Sono stato su in curva, poi giù in campo ora sono tornato su in tribuna e ho vinto così tanto con quella maglia che non può esistere un rimpianto. La grinta messa a Cardiff per recuperare la partita sull'1-1 è scivolata via ed è successo ben due volte. Stessa storia a Berlino, con il Barcellona. Dani Alves raccontò a me e Barzagli che loro hanno davvero avuto paura di perdere quella sera".
L'approdo allo Zenit è stato una sorta di conseguenza naturale per ritrovare gli stimoli persi nel corso di mesi passati in panchina o ai box per infortuni.
"Era il momento. Dopo tanti anni, a Torino avevo dato tutto. Trovare ogni stagione nuova linfa, nello stesso ambiente, con le stesse persone è dura. Migliorarsi con costanza in una sola società è complicato, per questo chi ci riesce si chiama bandiera".