12 anni, 18 trofei e 464 presenze con il Manchester United hanno reso Michael Carrick una leggenda del club e un riferimento nel calcio inglese. Ma non tutta la carriera del centrocampista è stata felice e vincente. Il 37enne ha raccontato al Times di aver sofferto di depressione dopo aver perso la finale di Champions League del 2009. A Roma, contro il Barcellona, lo United perse 2-0 e Carrick fu protagonista in negativo nell’occasione del primo gol di Eto’o, con una palla persa.
“È stato il punto più basso della mia carriera – ha raccontato l'ex centrocampista – mi sentivo depresso e totalmente giù di morale nella partita più importante della mia carriera. Avevo vinto la Champions League un anno prima, ma era diventato del tutto irrilevante. La descrivo come depressione perché non era una cosa momentanea. Mi sono sentito male dopo tante partite, ma era sempre una questione di giorni per farmi passare il dolore. Quella volta era diverso. Era una sensazione strana. Mi sono colpevolizzato per quel goal subito, ho continuato a chiedermi perché l’avessi fatto. La depressione è nata da lì”.
Carrick ha proseguito: “Come calciatore, ci si aspetta tu sia una macchina che sforna performance e risultati in serie. Sei pagato bene e giochi per un top club europeo, quindi perché non dovrebbe andare tutto bene? Non è proprio così. Non è facile fare tutto questo, ed è facile dimenticarselo”.
Le difficoltà lo hanno condizionato anche nell’estate 2010, quando ha giocato il Mondiale in Sudafrica con l’Inghilterra: “Nel 2010 è stato il momento più difficile, sognavo da sempre di giocare un Mondiale, ma la verità è che non volevo essere lì in quel momento. Volevo essere a casa, lo dicevo sempre a mia moglie. Non avrei dovuto e voluto sentirmi così, ma era la realtà”.
“L’ho tenuto molto per me nemmeno la mia famiglia sapeva tutto. Nel calcio non si parla molto di questo aspetto, io non ne avevo mai parlato prima d’ora. Tutti i compagni di squadra che ho avuto negli anni sapranno di questa mia depressione soltanto leggendo questa intervista. Potrebbero pensare che non stavo giocando bene o che non ero me stesso, ma non potevano sapere del problema. Ho provato a tenere tutto dentro e andare avanti”, ha concluso.