Quando i tifosi della Juventus sono venuti a sapere della rottura del legamento crociato hanno capito che la difesa della Juventus avrebbe perso un leader per diversi mesi, in campo e fuori: Giorgio Chiellini sta lavorando per tornare in primavera, in tempo utile per la volata finale della stagione.
Il capitano bianconero ora ha tempo per pensare anche al futuro che non lo vedrà più su un campo da calcio: intervistato da 'La Gazzetta dello Sport', ha svelato la data del ritiro e cosa farà da 'grande' una volta appesi gli scarpini al chiodo.
"Quanto giocherò ancora? Un paio d’anni. Non di più. A me piacerebbe fare una carriera dirigenziale. Con grande calma perché penso che l’errore più grande di noi calciatori, finita la carriera, è pensare di essere subito pronti. Quando smetti, per i più fortunati tra i 35 e i 40 anni, pensi di sapere tutto del calcio. Però poi entri nel mondo del lavoro in cui quelli che hanno la tua età hanno fatto almeno 15 anni a buon livello. E anche se vai un gradino più sotto, trovi gente che ha 10 anni meno di te ma 10 in più di esperienza. Quindi hai un gap da compensare, ne devi essere umilmente consapevole. Hai un know how importante da un punto di vista calcistico, però devi mettere gli altri tasselli. È come un puzzle, la cornice non conta meno del soggetto. Non bisogna avere fretta. Un gradino al giorno, come la riabilitazione...".
Niente carriera da allenatore dunque: meglio la scrivania.
"Mettere una squadra in campo e allenarla mezz’ora è bello, per tutti. Il distacco dal campo non è semplice, ma la vita di un allenatore non mi fa impazzire. Ormai non basta più un buon schema tattico, i tecnici devono essere sempre più psicologi e leader motivazionali. Sono gestori come può esserlo un amministratore di un’azienda che deve gestire almeno 50 o 60 persone. È una vita totalizzante: devi avere la vocazione, sicuramente. E poi accettare pressione e sacrifici di ogni genere. Non è un tipo di responsabilità che adesso mi sento dentro".
La Champions League resta sempre un obiettivo nonostante negli ultimi anni sia sfuggita proprio sul più bello.
"Cosa ci manca? Un po’ di fortuna sicuramente. Però qualcosa ci è mancato: la capacità di gestire quelle finali. Ricordiamo sempre che nella Champions ci sono 5-6 squadre che sono allo stesso, altissimo, livello. A noi è sempre mancato poco, negli anni scorsi abbiamo perso delle partite in modo rocambolesco: Bayern, Ajax, Real. Tre volte siamo usciti in quel modo assurdo. Io quella che rimpiango di più è l’Ajax perché sono convinto che poi avremmo avuto la strada spianata verso la finale. Nel ciclo incredibile della Juve di questi anni, qualcosa che è nella storia del calcio italiano, resta solo quel rimpianto. Ma non è finita…".
Dybala può seguire le orme di altri grandi del passato che hanno fatto la storia della Juventus.
"Ha avuto l’occasione di andare via ma è uno che ci tiene a fare il salto di qualità qui, è uno che ha portato la fascia di capitano con onore, perché l’ha meritato. Io non sarei proprio così sorpreso se Paulo facesse quello che hanno fatto Trezeguet, Camoranesi, Nedved, cioè un percorso importante nella storia della Juventus".
Nella sfortuna la fortuna di poter puntare sugli Europei con l'Italia, a cui arriverà dopo aver recuperato dall'infortunio.
"Se ci sarò? Sì, se non succede niente, anzi arrivo bello fresco. Mancini mi ha chiamato la sera in cui mi sono fatto male e gli ho detto: 'Mister torno in primavera, faccio un po’ di rodaggio perché così arriva giugno che sono fresco come una rosa, tanto sarà la mia ultima manifestazione…'. Arrivare da capitano della Juve, della Nazionale, con 500 partite in bianconero e 100 in Nazionale, ti dà una serenità diversa. Mi piacerebbe godermi questo Europeo come mi sto godendo questi ultimi, stupendi, anni da calciatore".