Soltanto due partite saltate in stagione per infortunio, altrimenti sempre in campo, che sia titolare o dalla panchina. Aleksandar Kolarov è uno degli intoccabili per la Roma, oltre che uno dei leader dello spogliatoio e un giocatore dalle parole pesanti.
Il serbo nei mesi scorsi aveva scatenato grosse discussioni a causa delle sue parole dirette ai tifosi, dichiarando che di calcio ci capivano poco. In un'intervista al sito ufficiale della Roma, il terzino ex Lazio e Manchester City è tornato a parlare dell'ambiente.
Secondo Kolarov nell'ambiente romano non c'è equilibrio e questo sarebbe dimostrato dal giudizio sui giovani e sui nuovi acquisti, con l'esempio di Schick.
"L’equilibrio serve sempre, ma in questa città non c’è e lo sappiamo. Ieri era il compleanno di Patrik Schick, sai quanti anni ha? Ventitre! Ed è arrivato qui che ne aveva 21. È giovane, tanto giovane. È un ragazzo. Ora sta bene fisicamente e speriamo che faccia tanti gol. Il tempo serve a quell’età. Come Schick ce ne sono tanti in squadra, che prima erano considerati scarsi, ma che ora si stanno esprimendo al meglio e sono veramente bravi”.
Non è più giovanissimo Kolarov, classe 1985 ed esempio per i tanti ragazzi giallorossi, soprattutto per la serietà espressa negli allenamenti e in campo, come ammesso da lui stesso.
“Sono il primo a scherzare, se serve, ma ci sono i momenti in cui non si può. Non mi piace scherzare in campo. Ovviamente ci sono allenamenti in cui ci si diverte di più, ma quando si lavora si lavora, non mi piace quando uno sottovaluta gli allenamenti: lì mi incazzo proprio”.
Una personalità e un carattere temprati da un'adolescenza difficile, in mezzo alla guerra in Serbia, come ha raccontato lo stesso terzino sinistro parlando dei suoi anni più difficili in mezzo alle bombe.
"Avevo 14 anni quando è cominciato tutto nel mio Paese e ricordi molto vivi di quel periodo. Dopo due o tre giorni di paura, purtroppo, ti abitui che la guerra resta lì, non se ne va. E tu puoi fare tutto quello che vuoi, ma se quelli da sopra lo decidono sei fuori. Quindi abbiamo iniziato a vivere una vita regolare, non si andava a scuola e per noi era tanto, perché significava avere più tempo per giocare a pallone. Lo facevamo per strada, di sera c’erano le sirene e ci rifugiavamo, era il segnale che gli arei stavano partendo dalle basi. Poi è arrivato il momento in cui neanche le sirene ci facevano più effetto e dopo un mese di guerra rimanevamo fuori a giocare, fino a mezzanotte”.
Nel momento più difficile della sua vita è stato il fratello Nikola a crescere con Kolarov e con il pallone. Come raccontato dal 33enne, c'era un gioco in particolare, molto fisico, fatto di contrasti e con conseguenze spesso dolorose.
"Io e mio fratello Nikola stavamo sempre con il pallone tra i piedi. E qualche volta ci siamo fatti anche male. Ci piaceva tanto un gioco, partivamo dai due lati opposti della stanza, mettevamo un pallone al centro e gli andavamo contro correndo, per vedere chi vinceva il contrasto e chi era più forte fisicamente. Una volta gli ho rotto la clavicola. Mentre lui mi ha rotto una mano”.